F***** è marocchina. È una brava operaia, si impegna, fa bene il suo lavoro e il titolare l’ha giustamente valorizzata: è caporeparto. È ben integrata con i colleghi e parla bene l’italiano, avendo seguito dei corsi, anni fa, tenuti direttamente dall’azienda.
Incrocio F***** nel camminamento per il posto ristoro. Entrambi ci blocchiamo: chi passa prima? Faccio un cenno, ma lei non si muove.
Rompo gli indugi: “Passa prima tu, in Italia le donne hanno la precedenza.”
Ma non è sufficiente: “In Marocco, la precedenza ce l’hanno gli uomini.”
Allora agisco di autorità: “È una cultura evoluta, ma siamo in Italia e si rispettano le tradizioni italiane.”
F***** passa per prima e guadagna l’agognato caffè.
Io mi blocco e rimango perplesso: la mia “battuta” era necessaria? O forse è stato un modo di nascondere, oltre al mio maschilismo, il fatto che in Italia, al di là del galateo di facciata, la parità di genere è ancora lontana?
Il caffè, per fortuna, ci libera di certi pensieri.